giovedì, luglio 31, 2008

azz... mo mi scordavo

auguri auguri auguri ad Andrea che è venuto al mondo qualche ora fa
che prenda da Paola e Giovanni il sorriso e la voglia di vivere!!!

Mememaniac

Ed eccomi alla fine di luglio alle prese con il meme gentilmente passatomi da fabio r.
uno simile devo averlo fatto un po' di tempo fa ma le "strane abitudini" erano solo cinque, mi sa che qualcosa lo riciclo non tanto per evitare sforzi intellettuali, ma perchè quelle mi sono rimaste. la smetto. e passo allo svolgimento del tema: ok professò?

Semplici le regole:

Mettere il link della persona che ti ha nominato

Mettere il regolamento del gioco sul proprio blog

Indicare 6 abitudini o particolarità, non importanti

Nominare 6 persone aggiungendo il link al loro blog e avvisarle.

Ci provo
1: al bar prima di bere il caffè sporco il bordo di metà tazzina con il cucchiaino intinto nel caffè convinta che questo possa evitare le ustioni provocate dal contatto tra le labbra e quegli aggeggi infernali che si nascondono nelle vesti di tazzine ma escono da bollentissime vaschette d'acqua (sarà per igiene?)

2: sono di un disordine cosmico soprattutto sulla scrivania da lavoro dove ammucchio carte importanti e semplici appunti correndo a volte il rischio di non orientarmi più neanche io... che solitamente mi ci racapezzo

3: nomino i miei file di lavoro sempre partendo con la data: che messo vicino al disordine materiale della scrivania mica dà un quadro coerente della mia personalità???

4: tengo il telefonino sempre acceso (il che non vuol dire che io lo senta sempre... anzi!!!) anche di notte così quando alle tre del mattino mi arriva un sms mi sveglio e magari scopro che è vodafone che mi dice dell'ultima promozione... grrrrr!!!

5: bevo sempre un sorso di latte freddo di frigo al mattino prima di fare colazione

6: tutte le porte, ante di armadio, cassetti devono essere chiusi intorno a me quando dormo. faccio un'eccezione per la finestra giusto ora che si schiatta di caldo!!! che parlo di notte chiamando mia mamma (che a volte mi risponde dall'altra stanza) la posso fare entrare in questa sesta particolarità???

e ora ecco a voi le mie nominesciòòòòòòòòòn. passo il meme a dyo , renata, daniele, pellescura, lucia e corsaronero

esonerando dal passaggio di meme quest'ultimo che è appena arrivato nel mondo dei blog e a chi cXXXo lo passa?!?!?!? con la speranza che gli altri non mi odino troppo per quello che ho appena fatto :)

martedì, luglio 29, 2008

Saggezza da parrucchiere


piccola prima premessa: il lunedì i parrucchieri sono chiusi

piccola seconda premessa: andare a un matrimonio senza il capello "fatto" è un dramma per noi donne... specie se - come me- assomigli a tina turner senza il tocco magico del coiffeur

riporto la conversazione tra me e il mio mitico parrucchiere pino

IO: "pino ho un problema"
PINO: "dimmi ale"
I.: "Lunedì ho un matrimonio"
P.: "Ti sposi tu?"
I.: "No, un mio amico"
P: "E allora il problema mica o tieni tu? 'o tene l'amico tuo!"


è un mito o no il mio parrucchiere?

domenica, luglio 27, 2008

Sconfitti



Ferrero ha trovato l'accordo con le altre mozioni e la mozione 2 sarà sconfitta, nonostante abbia raccolto più voti e delegati delle altre prese singolarmente in tutta Italia

Nichi, siamo stati sconfitti. E c'è già chi parla di scissione, fuoriuscita... no... non serve... restiamo nel partito che tu non hai mai detto di voler sciogliere e continuiamo a ricostruire

Dal congresso le parole di Nichi

magari vi annoio.... ma questo congresso è troppo importante, non solo per rifondazione, ma per tutta la sinistra. sul blog di nichivendola.it il suo intervento al congresso si può anche ascoltare. non sono riuscita a postarlo qui, dove semplicemente lo copio e incollo, anche se guardare il video magari aiuta di più l'attenzione. Chi ha voglia di capire un po' di più del pensiero della mozione 2, accusata di non essere abbastanza comunista o cmq non abbastanza capace nell'individuare gli errori ed assumersene le responsabilità, lo legga... senza pregiudizi... senza chiusure.... davvero non servono in queste difficili ore per la vita di un partito che dovrebbe fare da motore per la rinascita della sinistra

mi fermo che l'intervento già è lungo (francè ma una faccia meno afflitta, preoccupata e sconsolata mentre l'ansa ti riprendeva dietro nichi no eh????)



Siamo qui, insieme, segnati da tante nostre stanchezze, bisognosi di misurare tutta la lunghezza della nostra sconfitta, ma anche sfibrati dalla pesantezza delle nostre divisioni. Ma qui, insieme, nelle forme che la razionalità politica saprà suggerire, dobbiamo ritrovare il bandolo di quella matassa che si è ingarbugliata: disarmando le parole che hanno acceso l’odio e spento la politica, riannodando i fili spezzati delle relazioni personali, non occultando le diversità (di cultura e di strategia) ma esercitando coerenza rispetto all’idea che le diversità non sono una minaccia ma una ricchezza. Appunto, imparando a conoscerci piuttosto che a prenderci reciprocamente le impronte digitali, imparando a confrontarci tra noi non col metro delle nostre biografie e delle nostre pregresse appartenenze, bensì col gusto di metterci in gioco, di far vivere le sensibilità come preziosi punti di connessione con interessi e protagonisti sociali, di scambiarci esperienze ed idee: altrimenti anche la nostra democrazia interna sarà una saga di anime morte, non allargamento e arricchimento, non capire di più e sentire di più e raccontare di più, ma semplicemente contarsi, separarsi, mummificarsi in un correntismo che ci chiude in noi stessi e nelle nostre fissità.

Non sto invocando il galateo né ponendo una pura questione metodologica: le forme della nostra convivenza dicono per intero la cifra della nostra cultura politica, ovvero della nostra capacità di attraversare il deserto della sconfitta, non per cercare un riparo, un’oasi ideologica o un bunker burocratico, ma per ritrovare un orizzonte di speranza per rimettere a punto una mappa e ridarci un orientamento, perché la nostra offerta di politica possa incrociare una diffusa domanda di senso.

Non abbiamo perso solo noi, non abbiamo perso solo le elezioni. Abbiamo perso molto di più: un intero abbecedario civile, un universo di simboli e valori, persino una certa cognizione generale di ciò che è giusto e di ciò che è ingiusto. Abbiamo perso la sfida del Novecento: quella contesa di classe e di civiltà che ha trasmutato il lavoro da merce povera e sporca, da compravendita di braccia, da dimensione biologica e privata, in epopea di ribellione e dignità, in dimensione sociale e narrazione corale, in emersione di un popolo che perdeva le fattezze opache della plebe e assumeva il volto nitido del moderno proletariato delle campagne e delle città. Il lavoro, fondamento costituzionale della democrazia repubblicana, pietra angolare di un duraturo e contrastato processo di incivilimento, oggi sembra regredito a quel fangoso punto di partenza: mercificato, alienato, parcellizzato, spogliato di legami sociali, , sempre più povero di tutele, nemmeno più raccontato o rappresentato se non nelle sequenze mortuarie delle cronache degli incidenti.

La solitudine operaia è il prodotto finale di questa scientifica frantumazione dei corpi sociali che crepano di liberismo, di precarietà, di concertazioni che concertano la resa, di corporativismo che hanno progressivamente spoliticizzato le questioni del salario, dell’orario, persino della disoccupazione. E’ la solitudine di chi trova più consolazione nella cocaina che non nel sindacato. I contratti atipici sono la tipicità del lavoro intermediato da un caporalato arcaico e ipermoderno, di borgata e planetario. La precarietà è il racconto generale del lavoro senza classe. E rimbalza dal recinto produttivo fin dentro ogni interstizio della vita, di quella nuda vita che galleggia nella società liquida, di quella vita subordinata e serializzata, magari di quella vita migrante che precipita fuori di metafora e nella società liquida letteralmente affoga.

Solo il mercato è solido, è l’unica terra, l’unico orizzonte, l’unica neo-socialità che residua nel tempo dell’individualismo proprietario: individui proprietari forse di null’altro che di pulsioni al consumo. Se non posseggono niente sarà colpa delle mani agili di un fanciullo rom o sinti o extra comunitario o extra terrestre: tagliare quelle mani, ammanettarle, manipolarle, manometterle, sarà la fantasia punitiva e l’ideologia vendicativa da offrire alla platea vastissima dei proprietari senza proprietà e dei ceti mediocri.

Il capro espiatorio è una dura incombenza sociale, lo individui e lo bracchi e lo sacrifichi a qualche dio non per sadismo spirituale ma per necessità economica: indicare un nemico rinsalda il senso di appartenenza alla propria comunità, consente di trovare un colpevole delle inquietudini collettive, nelle stagioni di crisi e recessione sposta il tiro del disagio proletario su bersagli sottoproletari. La guerra tra poveri torna come idea di governo della transizione: ma è ovviamente un governo di guerra, una epifania di ombre premoderne che ottenebrano il diritto e limitano i diritti mentre le garanzie di libertà perdono il proprio respiro universalistico e diventano volgari guarentigie per l’establishment.I ricchi e potenti invocano l’habeas corpus e non tollerano che le loro voci siamo intercettate, mentre per i poveri e per gli irregolari vale la dura lex che alla pena del vivere aggiunge pene supplementari, pene grondanti pedagogie autoritarie, pene senza delitto, castighi senza colpa: per punire i poveri e perpetuare la povertà per punire i disobbedienti ed eternizzare l’obbedienza.

Se la precarizzazione della società alimenta un crescente dolore sociale, la risposta del potere sarà una produzione seriale di paure. La destra è una gigantesca fabbrica di paure. E dunque più precarietà comporterà più repressione, il mercatismo sarà accompagnato dal sorvegliare e punire di quella deriva securitaria che è già scritta dentro la nostra attualità politica.

E la Chiesa ratzingeriana spaventata dai ritmi violenti della secolarizzazione, si ergerà a sua volta come magistero della paura: paura dei desideri, paura della soggettività femminile, paura della libertà. E la sua gerarchia si sentirà protetta dagli imprenditori politici del ciclo della paura che la ricambieranno appaltandole il privato sociale, anzi la privatizzazione confessionale del sociale. Quanto lontane suonano le parole della “Gaudium et spes” e che cesura radicale dalla temperie di quel cattolicesimo conciliare che si apriva alla storia e progettava una Chiesa compagna del mondo.

Nel mappamondo della precarietà scompaiono modi secolari di produzione di socialità: la città si spezza in cumuli di periferie, anzi si generalizza la forma di periferia che storicamente rappresenta la sintesi mirabile dell’alleanza tra rendita fondiaria e speculazione edilizia; si vive in non-luoghi; si struttura una condizione di nomadismo coatto, il mito delle radici è la sublimazione retorica di uno sradicamento senza precedenti. Le comunità si aggrappano ai territori, mere astrazioni geografiche assumono la dimensione di piccole patrie, un microcosmo di terra e sangue offre surrogati di identità e persino alfabeti politici. In questi spazi volatili, in questi tempi senza memoria e senza futuro, le generazioni faticano a raccontarsi e a scambiarsi storie e sentimenti: i vecchi vengono delocalizzati come esuberi dell’economia domestica, i bimbi con i crediti e i debiti scolastici vengono ammaestrati al mercato e alla competitività, l’educazione permanente della gioventù è affidata alle veline e ai velinari.

Su questo piano inclinato è scivolata la sinistra. I nostri riferimenti sociali non ci hanno più capito: loro perdevano reddito e certo non guadagnavano in servizi, e poi perdevano in previdenza e poi perdevano in Welfare, alla fine hanno perso anche la pazienza e si sono congedati da noi, dal liberismo temperato del centro-sinistra ma anche dalle intemperanze improduttive della sinistra radicale.

Tra il governo Prodi e il Paese reale vi è stato un terribile cortocircuito di intelligenza sociale e di efficacia politica. E al vuoto che si andava formando a sinistra noi abbiamo opposto - bisogna dirlo anche se è facile dirlo con il senno di poi - non una grande costruzione corale, una disseminazione di cantieri, una rete di pratiche sociali e la incubazione nell’immaginario collettivo di un’idea, di un programma, di un sogno: no, abbiamo opposto la precaria convivenza di apparati e infine un cartello elettorale. Quella sinistra arcobaleno affogata nel diluvio di aprile. Mentre il Pd consumava tutte le sue eredità nella velleità di un’autosufficienza che in realtà indicava il compimento dell’esodo dalla storia del movimento operaio e il congedo (da destra) delle culture politiche novecentesche. E quindi non solo la destra ha vinto, ma noi abbiamo perso.

La destra ha prima convinto e poi vinto, e non solo nelle urne, ma nei sogni e negli incubi dell’opinione pubblica: ha vinto contro le tasse e contro la casta e contro gli zingari e contro i trans, ha vinto contro i fantasmi del pianerottolo e contro la monnezza del sottoscala. Ha vinto la lingua della destra, un impasto di plebeismo piccolo-borghese e di perbenismo clericale che sintonizzano le veline di Mediaset con l’industria del sacro, l’Isola dei famosi con l’ampolla del Dio Po, le telefonate oniriche di Berlusconi con le piroette no-global di Tremonti. Questa destra gioca con disinvoltura estrema la partita dell’egemonia, costruisce parole e scenografie suggestive, “parla come mangia” e entra dritta nello stomaco popolare: ma le sue scelte di politica economica hanno il segno della ferocia classista, i salari e le pensioni languiranno a lungo nella foresta di Sherwood ma di Robin Hood non vi sarà traccia, i tagli alla spesa pubblica saranno una secca decurtazione di diritti e di servizi socio-sanitari. Benetton forse salverà Alitalia, ma il salvataggio al netto di migliaia di esuberi, lo pagherà con i rincari delle tariffe autostradali e il federalismo viene annunciato mentre il Sud viene saccheggiato di risorse finanziarie e persino delle prerogative di spesa dei fondi comunitari.

Questo è lo scandalo contro cui scendere in piazza e ricostruire un blocco sociale di opposizione: non c’è bisogno di volgarità per opporsi, c’è bisogno di politica. Di una politica centrata su una incandescente questione di disuguaglianza e di ingiustizia sociale. Le leggi ad personam sono oscene, ma non sono più oscene delle norme razziali. O della voglia di mutare le regole di ingaggio per i soldati italiani impegnati in Afghanistan. O del ritorno al business nucleare. O della cancellazione delle sanzioni alle imprese che violano le norme sulla sicurezza dei lavoratori. Bisogna costruire una vasta e ricca mobilitazione permanente, una opposizione plurale, civile e sociale, alle destre.

È il primo compito di Rifondazione, anche nella contesa senza sconti e senza anatemi con il partito veltroniano, discutendo e costruendo luoghi comuni con le altre forze della sinistra di alternativa, predisponendosi alla battaglia elettorale per le amministrative del prossimo anno. E preparandosi a far vivere le pure imminenti elezioni europee non come un banale terreno di rivincita, ma come la prosecuzione della lotta della “sinistra europea” che deve raccogliere e capitalizzare il disagio continentale verso il modello di unificazione dettato dall’Europa delle tecnocrazie e delle banche.

Bisogna tornare nella società, non fuggendo dalla politica, anzi criticando in radice qualunque sciagurata ipotesi di autonomia del sociale e di autonomia del politico. Il politicismo è una prigione. Ma l’esodo dalla politica è la rinuncia al cambiamento. Se non concordiamo su questo, a che vale citare i classici o celebrare Gramsci?

Un partito politico lo si può sciogliere in tanti modi. Per decisione soggettiva dei suoi gruppi dirigenti. Ma anche perché lo si lascia deperire, non lo si alimenta, non lo si ossigena. Io non voglio sciogliere il mio partito. Voglio che viva ma per vivere dev’essere sempre fedele al suo nome e dunque infedele ai richiami della nostalgia e dell’identitarismo: fedele al compito di rifondare. Se stesso, un’idea del mondo, una pratica della trasformazione. E di rifondare una grande sinistra di popolo.

Vorrei un partito aperto, curioso, promotore di partecipazione, capace di ascolto, libero da quella boria che ci rende spesso accademici della chiacchiera. Vorrei in questo partito tenere vivo e costante il confronto sui pensieri lunghi, sugli orizzonti strategici, sapendo che il comunismo è un cammino impervio, che dovremmo imparare a seminare senza la fretta di guadagnare il raccolto, che dovremmo porre correttamente e con radicalità le domande a cui cerchiamo risposta: domande di senso, di qualità del vivere e anche del morire, di qualità del produrre e del consumare, domande sui nostri corpi sessuati e sulla grammatica degli amori, domande sui dilemmi della biopolitica e sulle ferite della biosfera, domande sulla violenza sublimata in potere e dal potere esercitata in regime di monopolio, disseminata attraverso i suoi apparati, perfino sacralizzata.

In ciò che vi ho detto vi è la proposta di una ricomposizione della nostra comunità politica. Vi è una ipotesi di governo del partito sulla base di una piattaforma programmatica. Per me, in questa fatica congressuale, non vi è null’altro che non sia tutto intero il senso della mia militanza e della mia vita.
Nichi Vendola, Chianciano 25.07.08


ps
ma vi ricordate com'era bella la sua campagna elettorale alle regionali del 2005?

sabato, luglio 26, 2008

Dal parrucchiere

porto sempre i miei giornali. e tra i quotidiani del sabato spunta D- Repubblica delle donne. Stamattina apro e a pag. 13 leggo le parole di Umberta Telfener, psicologa clinica, terapeuta della coppia:

"L'amore fa paura. Perchè è enormemente sopravvalutato come soluzione alla solitudine, perchè implica mettersi in gioco, perchè si pensa che si potrebbe soffrire troppo se l'altro ci lasciasse.
Paura è il nome che diamo alla nostra insicurezza che proiettiamo sull'altro, che facciamo diventare un nemico pericoloso.
Allora sogniamo amori idealizzati e perfetti, fuori dal reale; oppure scegliamo persone sbagliate per continuare a emozionarci pur rimanendo autonomi"


mi sono fermata e ho pensato: ecco come si dice quello che io chiamo "sbariare per il gusto di sbariare" e che però troppe volte mi ha visto soccombere perchè mi scappa la mano, ecco come si dice quello che la mia amica di sempre chiama "alessà a te se una storia non è impossibile... non ti piace", ecco come si diche quello che sempre lei chiama "dai sempre l'impressione che non te ne fotte!"

si dice così: scegliere persone sbagliate per continuare a emozionarci pur rimanendo autonomi

e mo che lo ho scoperto che faccio? mi ci butto di nuovo a inseguire una persona sbagliata?
senza scomodare psicologia e dintorni, mi rispondo con le parole di Pino Daniele
"quando le storie sono strane miracoli nun se ne ponno fà"

sta in questa canzone qui


ps
ma nun è meglio che la prossima volta mi leggo DPIU', GENTE, FAMIGLIA CRISTIANA, NOVELLA 2000 che li tiene già il mio parrucchiere?????????????

Compagno Fausto, la strada che indichi è quella giusta

non ho ancora sentito i compagni che sono a chianciano, ma dopo aver letto questo pz mi spiace ancora di più non essere li
copio e incollo da Repubblica.it



CHIANCIANO - Il compagno Fausto prende la parola, vola alto, parla di Politica, dice molte cose di sinistra, lascia i salotti, torna in piazza e mette d'accordo tutti. Dopo mesi di liti, processi e colpi incrociati che hanno ridotto Rifondazione a un mucchio di nodi in apparenza senza soluzioni, il VII congresso ritrova una sua unità e una sua strada. Quasi un miracolo rispetto al clima di tensione che ancora si toccava negli interventi immediatamente precedenti quelli dell'ex presidente della Camera. Un miracolo che può essere misurato con i 27 applausi che hanno scandito un discorso lungo 24 minuti; nei 30 secondi di applausi con cui è stato accompagnato dalla seggiola in settima fila fin sul palco; e nei sette minuti e mezzo di standing ovation finale esplosa dalla platea dei 650 delegati stracolma come non mai. Un infinito, appassionato abbraccio all'uomo che ha portato Rifondazione all'8,5 per cento e a un passo dalla tomba aggregando la Sinistra-L'Arcobaleno. Un miracolo, infine, che ha la faccia delle decine di persone con gli occhi lucidi, con la guance rigate dalle lacrime, soprattutto donne. E dello stesso Bertinotti che dopo tutto torna al microfono e dice, mano sul cuore: "Grazie per tutto quello che mi avete dato in questi anni, vi voglio bene".

Dopo la sconfitta l'ex segretario non aveva più parlato in pubblico dello tsunami elettorale e di come fare per ritrovare una strada. Interventi spot che rinviavano sempre a oggi, al congresso. "Oggi" è arrivato, con molte paure, il timore dei fischi e delle vendette tipiche dei congressi che devono mettere un punto e fare i conti. Non c'è stato neppure un fischio. Anche perché, abilmente, Bertinotti è stato molto attento a non sfiorare mai il tema delle divisioni interne, delle ben cinque mozioni che rischiano di frantumare Rifondazione. "Si può cominciare da tante parti, io scelgo di cominciare dalla crisi di moralità, di quando si smette di scandalizzarsi di un governo che ogni giorno distrugge i principi della Costituzione, che attacca la scuola fondamento della democrazia e annulla l'insegnamento di don Milani" attacca Bertinotti, maglietta blu e giacca a righe, dimagrito ma grintoso. Sono le 12.30, scatta il primo di una lunga serie di applausi, più di uno al minuto.

"Fare e essere opposizione". E' un compito "enorme" dice l'ex segretario che parla come delegato di Cosenza, "specie contro questo governo". Un compito che deve partire "dalla costruzione di un nuovo senso di appartenenenza e di comunione". Quella del 13-14 aprile è stata una "sconfitta storica" soprattutto perché "la cultura di sinistra in questo paese è minoritaria e quella di destra maggioritaria". L'esperimento della Sinistra-L'Arcobaleno ha "aggravato l'esperienza fallimentare del governo Prodi". Ma quello che sciocca è vedere che "il malcontento trova sfogo ed esito nella destra". "Quando un operaio tesserato per la Fiom va a votare Lega non è uno sciocco ma vuol dire che è stata tradita un'attesa. Noi dobbiamo essere in grado di riproporre la stessa attesa". Per farlo occorre "un'operazione politico-culturale per ricostruire la sinistra, antagonista, che rischia di scomparire in Europa". Il nemico da combattere, poi, "non è solo Berlusconi" ma questo "capitalismo totalizzante e incivile" e "l'individualizzazione del conflitto fino all'estremo atto del sabotaggio". Il nemico è il principio del "dividi e comanda". Anche per questo va difeso il sindacato.

Ricominciare "dal basso con processo costituente". "Ricominciamo" è la parola d'ordine del congresso. Campeggia in tutti i manifesti, ovunque nel parco termale di Chianciano. Ma da dove? "Dal basso" dice Bertinotti. Dopo una sconfitta come questa "non ci si può più sbagliare". Ammette che "sono state sconfitte tutte le ipotesi di unità a sinistra" ma quello che comunque serve adesso è un "processo costituente", parola maledetta per il congresso, quella che divide, che fa impazzire la mozione 1 di Ferrero ma non parte neppure un fischio. Ora serve "qualcosa di diverso", più che "assemblare l'esistente si deve tornare al contributo dei singoli". Allora ripartire dalle "case del popolo, dalla non-delega", da questa assemblea e da questo congresso, sempre però "innovando perché nessuno ha mai ricominciato tornando sui suoi passi".

Le allenze: né col Pd, né con Di Pietro. E' uno dei momenti in cui la platea si spella maggiormente le mani. "Il Pd non ha i fondamenti per essere partito di opposizione" e "la politica populistica di Di Pietro non è di sinistra, anzi è di destra". L'opposizione da sinistra non può che "essere costruita da sinistra". Quello che serve è "ricostruire un nuovo movimento operaio". E attenzione alle parole: "Nuovo perché la classe operaia è cambiata" e movimento, cioè, e cita Marx, "quello che cambia l'ordine delle cose". Quello che serve è costruire il "socialismo del XXI secolo". E' l'apoteosi.

Reazioni. Applaudono tutti. Anche Ramon Mantovani, molto critico con Bertinotti in questi mesi, e che in mattinata aveva detto dal palco: "Sono nostalgico del partito del 1995, che mobilitava migliaia di persone nelle piazze". E Paolo Ferrero, leader della mozione 1, quella che si oppone a Vendola (documento 2) e quindi anche a Bertinotti. "Sul passaggio relativo alla Costituente non sono d'accordo - dice l'ex ministro - per il resto mi sembra un intervento da mozione 1". Gli è piaciuta molto la ripartenza del basso: "Per molto meno, mi avrebbero accusato di volere l'autonomia del sociale dal politico".

Solo tra qualche ora, al massimo domani, si capirà se il compagno Fausto è riuscito a fare il miracolo, a ricomporre ciò che è frantumato. "La nostra parola è di nuovo liberazione" quasi urla chiudendo l'intervento. E di sicuro, "non ci poteva essere un congedo migliore di questo".

(26 luglio 2008)

venerdì, luglio 25, 2008

Dubbi in pillole

Se uno vi dice che quando parla con voi si sente intelligente
dopo quanto tempo lo mandate a fanculo?
a me è capitato... ed era un complimento... che io come al solito non ho colto
sarò davvero diventata una zitella acida e diffidente o c'è qualche problema di comunicazione tra noi?

con questi interrogativi amletici lascio a tutti voi i migliori auguri per uno splendido week end!!!
azz... ho preso proprio il tono da televenditrice: ehhehehhe

martedì, luglio 22, 2008

Da Telejato a me

Pino Maniaci, direttore del tg di Telejato- piccola emittente siciliana- qualche giorno fa è stato pestato da due emissari del clan locale. Già in passato ha ricevuto minacce e intimidazioni, gli hanno anche danneggiato l’auto. Ho sentito qualche servizio sulle tv nazionali, letto qualche articolo, ascoltato le sue parole mentre diceva che no… si augurava che non gli dessero la scorta perché altrimenti non avrebbe potuto continuare a fare il suo mestiere di giornalista.



Cercando su internet ho anche trovato il video di lui che, dopo il pestaggio, leggeva il tg e appariva in video con tanto di lividi. Tra i suoi collaboratori c’è anche Salvo Vitale che con Peppino Impastato partecipò all’avventura di Radio Aut. L’ho sentito dire che da sempre si occupa di controinformazione e che continua a farlo. Su questo non sono stata d’accordo.

Perché per me il lavoro che fa Telejato, così come quello che fanno tanti colleghi sparsi nelle redazione di tante piccole e piccolissime testate in giro per l’Italia (e permettetemi di dire con una punta di orgoglio soprattutto quelli che lavorano qui al Sud), è esattamente informazione. Che spesso è scomoda. E che se non dice la verità, se omette, trascura, oppure si autocensura, semplicemente non è.

Parlo facile io che da tre anni sono comodamente seduta su una poltrona da addetto stampa, anzi da capo ufficio stampa come recita la targhetta fuori dal mio ufficio.
Ma parlo perché credo di saperne un po’ di questo mondo. Perché negli 8 anni di lavoro per un giornale nella provincia di Napoli di episodi di minacce e intimidazioni ne ho visti da vicino. Soprattutto quando si è scritto di ‘sgarri’ subiti da camorristi, perché l’oltraggio non lo fai se scrivi di inchieste o arresti (anzi devi stare molto attento a non esaltarli nella loro ascesa criminale, non chiamando ras o boss il primo stronzo capoquartiere che viene beccato) ma quando racconti che sono stati picchiati, magari da altri. Ricordo ancora la telefonata tra gente che si era laureata alla stessa università, “chella e miezz a via” (quella della strada ndr) in difesa della mia collega Bellini. Ricordi Gabriè?

In qualche caso quegli episodi mi hanno anche riguardato, seppure in maniera sicuramente meno forte di quanto accaduto a Telejato. Perché ho sempre considerato tentativi di intimidazione alcune telefonate e visite ricevute in redazione.
Come quella anonima arrivata nel bel mezzo dell’ultima faida di camorra stabiese in cui una voce maschile, roca, che presi proprio io, spiegò: “Dicete alla signorina Staiano (che sarei io ndr) che e guagliune ‘e Santa Caterina stanno cu chille ‘e Scanzano, che non continuasse a scrivere strunzate” Santa Caterina e Scanzano sono due zone della mia città ad alta concentrazione camorristica e sono state storicamente alleate; in quel periodo alcuni ex cutoliani – nemici del clan storico e scarcerati da poco- sferrarono l’attacco agli Scanzanesi avendo anche l’appoggio di giovani leve di Santa Caterina stanche di sottostare agli ordini di Scanzano.

Oppure come quella ricevuta da un sindacalista dell’Asl, che patteggiò la pena dopo gli arresti per tangenti negli anni ’90 e il cui fratello era ancora imputato nel processo per quella stessa inchiesta con l’accusa di associazione a delinquere per corruzione, turbativa d’asta e quant’altro, che mi aveva visto nell’aula di tribunale nel momento della requisitoria del pm e sentì il dovere di chiamarmi sul cellulare quando ero tornata in redazione a scrivere il pezzo per dirmi: “Alessà (che sono sempre io ndr) scrivi bene” e io gli risposi “Gennà, scrivo quello che ho sentito”.

E ancora la visita di un imprenditore, dopo che avevo scritto che un boss ammazzato lavorava in una ditta che aveva avuto spesso contatti con la sua, che venne a dirmi che mi avrebbe fatto seguire da tutti i suoi operai, per scoprire chi mi aveva detto quelle cose visto che io non glielo volevo dire. O quella del candidato al consiglio comunale (poi eletto all’opposizione), al cui nipote la Polizia aveva chiuso per qualche giorno il bar in quartiere popolare perché ritenuto luogo di ritrovo abituale di pregiudicati, che mi venne a spiegare –eravamo in campagna elettore- che il nipote è “nu bravo guaglione” e che uscire con quelle cose sul giornale “nun è bello”.

O quella del fratello e del cognato di un camorrista, che attraverso società di distribuzione del caffè e di noleggio videopoker impone il pizzo alla quasi totalità dei bar nella mia città al punto anche di essere arrivato, in diversi casi, a rilevarne la proprietà (proprio oggi quelle società gli sono state sequestrate insieme ad altri beni per un valore complessivo di otto milioni di euro
), che vennero a chiedere perché avevo messo pure il loro nome sul giornale, che la gente solo adesso li chiamava con rispetto, ma che loro lo aiutavano solo nel lavoro, mica erano camorristi pure loro? E me li sono ritrovati cento volte in strada, faccia a faccia, perché questo è il punto quando fai questo lavoro nel luogo dove vivi. Lo raccontava pure Pino Maniaci in un’intervista tv: hai appena letto il tg, esci a prendere il caffè e loro sono insieme a te al bar.

Ma ricordo pure – con maggiore precisione e dolore- le volte in cui non ho potuto scrivere perché se sei un piccolo giornale, gli inserzionisti contano e allora anche se un consigliere comunale di un piccolo comune dei Lattari ha fatto un abuso edilizio nel suo albergo e tu hai le foto e le prove e il pezzo già pronto, devi smontare la pagina perché quello ha commissionato, da tempo, un bel po’ di lavori pubblicitari. Quella volta per la rabbia piansi. Inutilmente. Poi ho imparato a gestire un po’ meglio queste emozioni.

E proprio pochi giorni fa, colleghi che sono rimasti al giornale, commentando alcune autocensure, davanti alle mie obiezioni mi hanno candidamente detto che anche a loro piace avere lo stipendio a fine mese. Perché è così, è naturale che ti venga da chiederti -quasi a citare Guccini- se ne valga la pena “per questi quattro soldi, per questa gloria da stronzi”. Io una risposta non ce l’ho.

Perché quando ho potuto, sono andata via e ho scelto una strada più comoda, sebbene temporanea. Perché ero stanca anche delle autocensure, del fatto che la libera informazione non è mai libera del tutto e se non ti puoi spendere in questo senso il resto che senso ha? Ma soprattutto ero stanca della vita totalizzata dal lavoro.
La risposta più bella, però, credo di averla avuta dal mio amico Fabio – fotografo di quello stesso giornale con cui tante volte siamo andati insieme sugli omicidi ma abbiamo rischiato di più per episodi apparentemente meno gravi come l’accumulo di legname per i ‘fucaracchi’ dell’Immacolata (tradizione che vede una vera e propria gara tra i ragazzi dei quartieri) o per degli abusi edilizi- che mi diceva: “Questo non è un lavoro, è una malattia”.

Sarà per questa malattia che notizie come l’aggressione a Pino Maniaci mi rimettono sempre in discussione. Mi fanno sentire nostalgia. Di una diversità. Mentre mi ritrovo solo diversa da quella che avrei voluto essere.

Ps
Perdonate la lunghezza del post. Che faccio ci metto pure il ps? Ma sììììììì. Solo per regalarvi qualche immagine della mia città scattata sabato dalla mia sorellina e chiedervi se non ne valga la pena rimanere qui. Resistendo!


venerdì, luglio 18, 2008

Aspettando la sentenza sulla scuola Diaz


La sentenza per i fatti della caserma di Bolzaneto hanno rattristato, deluso, fatt arrabbiare moltissime persone... tante tra i miei net friend

La requisitoria per i fatti della scuola Diaz è stata dura almeno quanto quella fatta per Bolzaneto: 110 anni contro agenti e ispettori della Polizia accusati di aver fatto un vero e proprio blitz anche portando dentro le molotov

Con la speranza- divenuta lieve lieve negli ultimi giorni- che non vada a finire come per Bolzaneto voglio cantare... insieme a voi... le parole che Francesco Guccini ha dedicato a quelle calde giornate di un luglio di 7 anni fa, pienamente consapevole che resta amara e indelebile la traccia aperta di una ferita

Genova, schiacciata sul mare,
sembra cercare respiro al largo,
verso l'orizzonte.

Genova, repubblicana di cuore,
vento di sale, d'anima forte.
Genova che si perde in centro
nei labirintici vecchi carrugi,
parole antiche e nuove sparate
a colpi come da archibugi.

Genova, quella giornata di luglio,
d'un caldo torrido d'Africa nera.
Sfera di sole a piombo,
rombo di gente,
tesa atmosfera.

Nera o blu l'uniforme,
precisi gli ordini,
sudore e rabbia;
facce e scudi da Opliti,
l'odio di dentro come una scabbia.

Ma poco più lontano,
un pensionato ed un vecchio cane
guardavano un aeroplano
che lento andava macchiando il mare;
una voce spezzava
l'urlare estatico dei bambini.

Panni distesi al sole,
come una beffa,
dentro ai giardini.

Uscir di casa a vent'anni
è quasi un obbligo,
quasi un dovere,
piacere d'incontri a grappoli,
ideali identici,
essere e avere,
la grande folla chiama,
canti e colori,
grida ed avanza,
sfida il sole implacabile,
quasi incredibile passo di danza.

Genova chiusa da sbarre,
Genova soffre come in prigione,
Genova marcata a vista
attende un soffio di liberazione.

Dentro gli uffici uomini freddi
discutono la strategia
e uomini caldi esplodono un colpo secco,
morte e follia.

Si rompe il tempo e l'attimo,
per un istante,
resta sospeso,
appeso al buio e al niente,
poi l'assurdo video
ritorna acceso;

marionette si muovono,
cercando alibi per quelle vite dissipate
e disperse nell'aspro odore della cordite.

Genova non sa ancora niente,
lenta agonizza,
fuoco e rumore,
ma come quella vita giovane spenta,
Genova muore.

Per quanti giorni l'odio colpirà ancora a mani piene.
Genova risponde al porto
con l'urlo alto delle sirene.

Poi tutto ricomincia
come ogni giorno
e chi ha la ragione,
dico nobili uomini,
danno implacabile giustificazione,

come ci fosse un modo,
uno soltanto,
per riportare una vita troncata,
tutta una vita da immaginare.

Genova non ha scordato
perché è difficile dimenticare,
c'è traffico,
mare e accento danzante
e vicoli da camminare.

La Lanterna impassibile
guarda da secoli
gli scogli e l'onda.
Ritorna come sempre,
quasi normale,
piazza Alimonda.

La "salvia splendens" luccica,
copre un'aiuola triangolare,
viaggia il traffico solito
scorrendo rapido e irregolare.

Dal bar caffè e grappini,
verde un'edicola
vende la vita.

Resta, amara e indelebile,
la traccia aperta di una ferita

mercoledì, luglio 16, 2008

Complimento

alcuni giorni si aprono con complimenti inaspettati... come mi è capitato oggi
e allora... magari perchè si ha bisogno sempre un po' di dare una botta all'autostima.... lo appunto qui!

alcuni giorni ti dici .... vabbè... in fondo è estate.... un po' di terra e di rimmel e di lucidalabbra puoi anche metterlo per andare al lavoro..... e pure una maglietta meno monacale che in fondo mica è un peccato avere le tette grandi?

anche se non lo fai sempre perchè sei sempre in bilico a capire se lo fai perchè ti fa piacere o se per indossare una maschera-armatura.... o semplicemente perchè ti rompi le palle di farlo tutti i giorni

e allora succede come stamattina che vai a lavoro un po' più in tiro del solito e per caso trovi un dipendente che va a lavorare nel tuo stesso posto e gli dai un passaggio... uno più grande che ti conosce da che eri ragazzina e che al teatro ha dato anima e sogni e il suo più grande amico morto in un incidente 30 anni fa o poco più e forse lì sono morti anche i suoi sogni e ora fa un lavoro di segreteria (vabbè ma forse questa è un'altra storia)

la storia che volevo raccontare riguardava un complimento e io devo smetterla di perdermi sempre in mezzo a un giro immenso e tortuoso di parole

invece del 'cumme staie bella' quel dipendente lì mi ha detto 'staie sfaccimma!!"

provo a tradurre per chi non è di napoli: il termine in sè è volgare e attiene alla sfera sessuale usato come sostantivo, ma come attribuzione in quel contesto più o meno può voler dire: "stai tosta, esprimi forza, sei una che sembra non aver paura".. .insomma come a dire "dalle 'nfaccia!!!!"

mi pare un buon modo per iniziare la giornata

martedì, luglio 15, 2008

Non preoccupatevi

non sono andata via
ma forse non sono ancora tornata!

sempre che qualcuno si sia preoccupato della mia assenza dal blog che ho, invece, tanto frequentato il mese scorso

martedì, luglio 08, 2008

Come 30 anni fa... o forse no



Spero lo sappiate tutti: stasera Pino Daniele canterà in Piazza del Plebiscito con la sua band di trent'anni fa, riproponendo come nel 1978 un concerto nella piazza simbolo di Napoli. Trent'anni fa era gratis, questa volta no. Trent'anni fa piazza del Plebiscito era un mega parcheggio auto controllato da abusivi, adesso no. Trent'anni fa il neapolitan power passava per una musica nuova che mescolava tradizioni diverse, questa volta si mescoleranno le voci di tanti anche di Nino D'Angelo e Gigi D'Alessio e proprio su quest'ultima pertecipazione c'è stata la polemica di qualche intellettuale

Poco meno di 30 anni fa Pino Daniele cantava che Napule è 'na carta sporca e nisciuno se n'importa.... che... Napule a sape tutt'o munno, ma nun sanno 'a verità!!!!
credo sia lo stesso anche adesso... perchè forse di verità su Napoli non ce n'è una sola... come ricordava anche lucia cirillo in un suo post

Il concerto sarà in diretta su RAI UNO
dopo Roberto Bolle, dopo la nona sinfonia di Beethoven in diretta, i riflettori nazionali si riaccendono su un volto bello, su tanti volti belli di Napoli
io lo seguirò in tv, perchè il biglietto non l'ho trovato... forse non l'ho neanche tanto cercato. mi piacerebbe che anche i miei net friend lo seguissero....

mi sa che ci toccherà qualche pezzo nuovo... e io per nuovi intendo quelli dal '93 in poi.... che non mi piacciono granchè
ma ci saranno anche quelli belli di un tempo... 'onna cuncetta, terra mia.... spero ci siano anche apucundria e alleria.... quest'ultima forse è la mia preferita, ogni volta che la canto mi commuovo

Passa 'o tiempo e che fa, tutto cresce e se ne va,
passa 'o tiempo e nun vuò bene cchiù.
Voglio 'o sole pe' m'asciuttà,
voglio n'ora pe' m'arricurdà.

Alleria, pe' 'nu mumento te può scurdà
che hai bisogno d'alleria,
quant'e sufferto 'o ssape sulo Dio.

E saglie 'a voglia d'alluccà,
ca nun c'azzicche niente tu, vulive sulamente da`:
e l'alleria se ne va...

Passa 'o tiempo e che fa se la mia voce cambierà,
passa 'o tiempo e nun te cride cchiù,
e ti resta solo quello che non vuoi
e non ti aspetti niente perchè lo sai
passa 'o tiempo ma tu non cresci mai....


passa 'o tiempo... pino canta ancora per napoli che non cresce mai

lunedì, luglio 07, 2008

Chissà perchè...


... nel 2005 ho rinnovato il passaporto?!?!?!?!
meglio così... che ora -che potrebbe servirmi -non devo mettere mano a carte e pastoie burocratiche e corse e attese per averlo in tempo

venerdì, luglio 04, 2008

Meme poetico

Ho scelto di 'incatenarmi' al meme di poesie che dyo ha rilanciato qualche giorno fa
ecco le regole
1- Scrivere il nome di almeno cinque poeti di ogni tempo e luogo dei quali si è innamorati.
2- Citare alcuni versi significativi di almeno uno dei poeti elencati.
3- In aggiunta o in alternativa al punto 2 citare almeno un PROPRIO componimento poetico, o anche soltanto alcuni versi di esso.
4- Per i veri patiti dell'arte poetica, sarebbe gradito un componimento, anche brevissimo, appositamente creato e pubblicato.
5- Infine incatenare altri bloggers raccomandando il rispetto di queste semplici regole
1- KOSTANTINOS KAVAFIS
soprattutto per la sua ITACA



Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere d'incontri
se il pensiero resta alto e il sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo
né nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga
che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche aromi
penetranti d'ogni sorta, più aromi
inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca
- raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo,per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.

Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos'altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
Già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.


CATULLO
e i suoi baci



Viviamo, Lesbia mia, e amiamo
e non badiamo alle chiacchiere dei soliti vecchi troppo severi.
Il sole tramonta e poi risorge,
ma noi, una volta che il nostro breve giorno si è spento,
dobbiamo dormire una lunga notte senza fine.

Dammi mille baci, poi cento
poi altri mille, poi ancora cento
poi altri mille, poi cento ancora.
Quindi, quando saremo stanchi di contarli,
continueremo a baciarci senza pensarci,
per non spaventarci e perché nessuno,
nessuno dei tanti che ci invidiano,
possa farci del male sapendo che si può,
coi baci, essere tanto felici.


SAFFO
e la sua irraggiungibile mela
Quale dolce mela che su alto
ramo rosseggia, alta sul più
alto; la dimenticarono i coglitori;
no, non fu dimenticata: invano
tentarono raggiungerla.......

frammento 116

NERUDA
ho già detto in qualche post fa qual'era la mia preferita
Non t’amo se non perché t’amo
e dall’amarti a non amarti giungo
e dall’attenderti quando non t’attendo
passa dal freddo al fuoco il mio cuore.

Ti amo solo perché io te amo,
senza fine io t’odio, e odiandoti ti prego,
e la misura del mio amor viandante
è non vederti e amarti come un cieco.

Forse consumerà la luce di Gennaio,
il raggio crudo, il mio cuore intero,
rubandomi la chiave della calma.

In questa storia solo io muoio
e morirò d’amore perché t’amo,
perché t’amo, forse, a ferro e fuoco


RAFFAELE VIVIANI
scusate il campanilismo ;)


è vero che era grandissimo uomo di teatro, che rivoluzionò il linguaggio teatrale agli inizi del '900, orgoglio di ogni stabiese, ma in questi due testi qui, per me, riassume assai poeticamente il suo odio per la guerra e l'inizio della riscossa sociale di lui, un tempo scugnizzo

GUERRA E PACE
'Ntiempo 'e pace 'e marenare:
figlie 'nterra e varche a mmare.
'Ntiepo 'e guerra, juorne amare:
varche 'nterra e figlie a mmare.

Guerra e pace, pace e guerra:
se distrugge e cresce 'a terra.


GUAGLIONE
Quanno pazziavo ò strummolo,
ò liscio, è fiurelle,
a ciacce, a mazza e pìvezo,
ò juoco d''e ffurmelle,

stevo 'int''a capa retena
'e figlie 'e bona mamma,
e me scurdavo ò ssolito,
ca me murevo 'e famma.

E comme ce sfrenàvamo:
sempe chine 'e sudore!
'E mamme ce lavaveno
minute e quarte d'ore!

Giunchee fatte cu 'a canapa
'ntrezzata, pe' fa' a pprete;
sagliute 'ncopp'a ll'asteche,
p'annarià cumete;

po' a mare ce menàvemo
spisso cu tutte 'e panne;
e 'ncuollo ce 'asciuttàvemo,
senza piglia' malanne.

'E gguardie? sempe a sfotterle,
pè fà secutatune;
ma 'e vvote ce afferravano
cu schiaffe e scuzzettune

e a' casa ce purtavano:
- Tu, pate, ll'hè 'a 'mpara'!
E manco 'e figlie lloro
sapevano educà.

A dudece anne, a tridece,
tanta piezz''e stucchiune:
ca niente maie capèvamo
pecchè sempe guagliune!

'A scola ce 'a salavamo
p''arteteca e p''a foia:
'o cchiù 'struvito, ò massimo,
faceva 'a firma soia.

Pò gruosse, senza studie,
senz'arte e senza parte,
fernevano pè perderse:
femmene, vino, carte,

dichiaramente, appicciche;
e sciure 'e giuventù
scurdate 'int'a nu carcere,
senza pute' asci' cchiù.

Pur'io pazziavo ò strummolo,
ò liscio, è ffiurelle,
a ciacce, a mazze e pìvezo,
ò juoco d''e ffurmelle.

ma, a dudece anne, a tridece,
cu 'a famma e cu 'o ccapì,
dicette. - Nun pò essere:
sta vita ha da ferni'.

Pigliaie nu sillabario:
Rafele mio, fà tu!
E me mettette a correre
cu A, E, I, O, U.

forse il dialetto vivianeo è una barriera linguistica troppo alta... ma se vi va chiedetemi pure la traduzione!!!

poesie mie?? proprio non ne avrei... solo due versi scappati una volta alla mia tastiera.. scusate la banalità della rima baciata

sono la paura di non essere amata
sono l'orgoglio di non esserlo mai stata


nomination?... violo la regola: si incateni chi vuole!!!!

giovedì, luglio 03, 2008

LIBERA!!!



Oggi che il mondo è illuminato dalla bella notizia della liberazione di Ingrid Betancourt ogni mio sbariamiento sul mio piccolo mondo mi pare superfluo!

la dolcezza, l'amore, la gioia dello sguardo tra la madre e la figlia- ciascuna a combattere la stessa battaglia in questi sei lunghissimi anni- le voglio ricordare a lungo

nota a margine: e mi fa pure piacere che il tg1, ieri sera, abbia fatto un'edizione straordinaria, per una volta l'informazione di Stato ha guardato oltre le beghe su intercettazioni et simili